mercoledì 28 gennaio 2015

Ancora oggi mi domando, come ieri... Perché cadere mi fa così tanta paura? Non so... Forse perché la caduta -adesso che sono grande- prende il nome, inevitabile, di "Fallimento". E se quando, ad esempio, cado dalla bicicletta mi faccio un po’ male, ma dopo pochi minuti ritorno a pedalare, il termine "Fallimento" conserva presso di sé il germe del definitivo. E io so bene che, Chi fallisce magari riesce a rimettersi in piedi tra mille sforzi, ma la ferita del fallimento (intesa come personale rovina) fatica a rimarginarsi. Anzi rimane aperta, per taluni...  Tanto che sulla difficoltà del rimettersi in piedi non posso che essere d'accordo. Tranne che su questa accezione lapidaria del concetto di fallimento... che fortemente impugno. Pur conoscendo gli effetti della caduta di autostima... che spesso azzera qualsiasi possibilità di riconoscere un valore di apprendimento dall'insolvenza stessa... Ed ovviamente tutto ciò, che ho descritto in questo breve spazio, è molto pericoloso. Ma la voglia di diventare anch'io un po’ pioniera di me stessa, evitando, in caso di caduta, di sentirmi "finita", ancora non mi abbandona. Sapendo che, cadere, è oggettivamente duro. Ma non così tanto, se riuscissi a capire come arginare la mia paura... che trasforma l'atto nella mia caduta in un'ineluttabile sentenza di fallimento. Eppure dovrebbe essere più semplice di quanto io possa pensare. In fondo... basta recuperare l'abitudine a cadere. Quella che avevo da ragazza. Verificando che non c’è paura mentre si cade. L'altra percezione semmai, come dichiara Catullo, arriva prima o dopo. Ma comunque, dopo è talmente forte l'urgenza di rimettersi in piedi e di ricominciare a giocare che uccide ogni paura. Provare per credere...

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